Fra
il settembre 1917 e l’aprile 1918 Kafka soggiorna a Zürau, minuscolo borgo
della campagna boema, ospite della sorella Ottla. Protetto dall’insorgere della
malattia, riesce a sfuggire a tutte le potenze che da sempre lo braccano – la
famiglia, l’ufficio, le donne –, e il diradarsi della presenza umana suscita in
lui un sentimento di lieve euforia, facendogli apparire quel periodo di tregua
come forse il migliore della sua vita. Restringere il campo d’azione a ciò che
era «indubitabile» in lui stesso sembra essere stato il motto di Kafka. Qui, a
Zürau, Kafka lo applica con totale rigore, dando vita a una nuova forma di
scrittura, quella degli aforismi. Mette insieme una sequenza di foglietti
staccati, di piccolo formato, ciascuno dei quali contiene, con rare eccezioni,
un solo frammento numerato, dove ogni ridondanza è abolita. Non si incontrano
solo aforismi in senso stretto: alcuni frammenti sono narrativi, altri
consistono in singole immagini, altri ancora sono parabole. Ogni frase presenta
un carattere di massima generalità – e al tempo stesso è come se emergesse da
un deposito di materia oscura. Non vi è alcuna prova, nemmeno indiretta, che
volesse pubblicarli, eppure questa è l’unica volta in cui Kafka si preoccupò di
dare una forma visivamente e spazialmente perspicua a un suo testo, quasi
preordinando la disposizione tipografica di un centinaio di pagine, dove ogni
pagina corrisponderebbe a uno dei foglietti di carta sottile. Il risultato è un
diamante purissimo, annidato nei vasti giacimenti carboniferi che erano in Kafka.
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